SINOSSI
Quella di Lazzaro, un contadino che non ha ancora vent’anni ed è talmente buono da sembrare stupido, e Tancredi, giovane come lui, ma viziato dalla sua immaginazione, è la storia di un’amicizia. Un’amicizia che nasce vera, nel bel mezzo di trame segrete e bugie. Un’amicizia che, luminosa e giovane, è la prima, per Lazzaro. E attraverserà intatta il tempo che passa e le conseguenze dirompenti della fine di un Grande Inganno, portando Lazzaro nella città, enorme e vuota, alla ricerca di Tancredi.
Regia
ALICE RORHWACHER
Produzione
TEMPESTA/CARLO CRESTO-DINA
Con
RAI CINEMA
In coproduzione con
Pola Pandora Filmproduktion, Ad Vitam Production, Amka Films Productions
Anno di produzione
2018
World Premiere
FESTIVAL DI CANNES 2018
Durata
125'
|
Premi
NOTE DI REGIA
Lazzaro felice è la storia di una piccola santità senza miracoli, senza poteri o superpoteri, senza effetti speciali: la santità dello stare al mondo e di non pensare male di nessuno, ma semplicemente credere negli altri esseri umani. Racconta la possibilità della bontà, che gli uomini da sempre ignorano, ma che si ripresenta e li interroga come qualcosa che poteva essere e non abbiamo voluto.
È un manifesto politico, è una fiaba sulla storia d’Italia degli ultimi cinquant’anni, è una canzone.
Buoni, santi, perdenti. Lazzari.
Una serenata nella notte: le ragazze giovani e antiche ridono di altri pudori, i contadini vecchi si alzano per venire a vedere che succede… In che epoca siamo? Sembra tanto tempo fa, ma alcuni elementi tradiscono un passato più prossimo. Ora tutti sono riuniti in cucina, il soffitto è basso e i contadini si accalcano: risate, recriminazioni, amori e chiacchiere. Lo spettatore cerca di orientarsi per capire a chi legarsi, quale sia infine il protagonista del film: saranno i due giovani sposi, Mariagrazia e Giuseppe? Sarà Antonia, la madre bambina, lo strambo Catirre, col suo vecchio impermeabile militare, o infine la gallinella smarrita che vaga sotto il tavolo? E invece, tra tutti, arriviamo fino a quel giovane uomo che se ne sta in disparte, e neanche si avventa sul pane, che non ha fame, perché è semplicemente felice di vedere gli altri felici: Lazzaro.
Attraversando il mio paese e il mio tempo ho spesso incontrato dei Lazzari felici, persone che chiamerei buone, ma che il più delle volte non si dedicano a fare il bene, perché non sanno cosa sia fare il bene. Loro sono, e quello che sono fa sì che restino nell’ombra, perché, dove possono, abdicano sempre a se stessi per lasciare spazio agli altri, per non disturbare. Non possono emergere, o meglio non sanno neppure che “emergere” sia possibile. Sono quelli che finiscono i lavori sgradevoli e pesanti che l’umanità si lascia alle spalle, rimediano a tutto quello che gli altri distrattamente calpestano, senza che nessuno se ne accorga.
Ma succede a volte che, inaspettatamente (e certamente per errore!), uno di questi Lazzari entri nella storia: il più delle volte qualcuno, un passante, un commesso di un negozio, un giovane rampante o un vecchio pensionato, insomma qualcuno all’improvviso lo nota per la prima volta, lo guarda con sospetto, forse fraintendendo un suo gesto, e si mette a gridare “È stato lui! È pericoloso!”
Perché sì, i nostri Lazzari hanno una camminata troppo strana, troppo silenzio intorno alle parole, e allora la paura divora chi li incontra… Il nostro Lazzaro di turno non sa ribattere alle false accuse: guarda con occhi increduli, mentre la gente lo acchiappa, lo morde, lo caccia.
Libri e film raccontano largamente il destino degli eroi che si ribellano e lottano contro le ingiustizie, che si trasformano e si impongono: vogliono cambiare il mondo! Lazzaro invece non può cambiare il mondo: la sua santità non può essere riconosciuta. I santi, come ce li immaginiamo, devono avere forza, carisma, devono imporsi. Ma io non credo che la santità sia carisma. Credo invece che se un santo apparisse oggi, con il suo insostenibile richiamo ad un modo altro di esistere, se comparisse nelle nostre vite moderne forse non lo riconosceremmo neanche o lo faremmo fuori, senza tanto pensarci. Parliamo di una religione dell’umano, e non di una religione ufficiale e ben amministrata, con i suoi vestiti sgargianti e regole settimanali.
Questo tipo di santo è un folle prima di diventare pazzo, è uno stupido prima di essere tonto, è colui che è intatto, che è sempre uguale a sé stesso mentre il mondo si affanna a cambiare, o, forse, a fingere di cambiare. Un cambiamento più simile a quello di un abito, che una mutazione profonda, interiore.
Passare dal medioevo al medioevo. Viaggiare nel tempo e restare sempre nello stesso posto.
Attraverso le avventure di Lazzaro, volevo raccontare nel modo più lieve possibile, con amore e umore, la tragedia che ha devastato il mio paese, il passaggio cioè da un medioevo materiale ad un medioevo umano: la fine della civiltà contadina, la migrazione ai bordi della città di migliaia di persone che non sapevano nulla della modernità, la loro rinuncia al poco per avere ancora meno.
Un mondo di polverosi sfruttamenti che finisce, e si trasforma in altri sfruttamenti più nuovi e lucidi, più attraenti.
Lazzaro, senza saperlo, viaggia nel tempo, e interroga le immagini del presente come un enigma, con i suoi occhi accoglienti e spalancati. Perché viaggiare nel tempo? Piegare le pagine della storia e vedere una a fianco all’altra epoche così contraddittorie eppure simili: è sempre stato un mio desiderio, quando ero a scuola, scuotere il libro e mischiare le carte, e in qualche modo il cinema lo rende possibile.
Per costruire la storia sono partita da un fatto reale che mi ha colpita: riguarda la vicenda di una Marchesa del centro Italia che, approfittando dell’isolamento di alcune sue proprietà, aveva mantenuto i suoi contadini all’oscuro della fine della mezzadria. Quando finalmente per legge tutti gli accordi mezzadrili ancora in corso, nel 1982, furono convertiti in contratti di affitto o lavoro salariato, la nostra Marchesa fece finta di niente. Per qualche anno insomma i suoi contadini continuarono a vivere in una condizione semi-servile mentre l’abolizione della mezzadria trasformava secoli (millenni?) di sfruttamento in veri contratti tra pari, regolati dalle leggi di Stato: un passaggio epocale che mutava secoli di sudditanza in una scelta voluta e negoziabile.
Mi ha sempre fatto una struggente tenerezza la storia di questi contadini che arrivarono in ritardo a questo appuntamento con la storia, e che restarono tagliati fuori da una trasformazione, raccogliendo solo i resti di quel passaggio fragoroso.
Un trafiletto di cronaca da dimenticare la mattina dopo, ma che loro hanno conservato gelosamente appeso ad un muro, ad ingiallire, unica testimonianza di un mondo che si è sfasciato, e li ha lasciati indietro. IL GRANDE INGANNO!
Una fiaba realissima.
In Lazzaro felice ancora più che nei film precedenti abbiamo voluto sperimentare la fiaba, con tutte le sue incoerenze, i suoi misteri, i suoi ritorni straordinari e i suoi personaggi buoni e cattivi. La fiaba e il suo simbolismo, inteso non come astrazione eterea o promessa di avventure sovraumane e nebulose, ma come gancio tra la realtà e un altro strato dell’essere: è dalla vita che nascono i simboli, in maniera così profonda e dettagliata che diventano la vita di tutti, la vita di un paese, l’Italia, nella sua trasformazione. La storia, è sempre la stessa: la storia della rinascita, dell’araba fenice, dell’innocenza che nonostante tutto e tutti torna a visitarci, a struggerci.
Fiabeschi ma reali sono i personaggi, quindi, le vicende, e fiabeschi ma reali, nel senso più crudo del termine, sono anche i luoghi: da una parte una campagna isolata, divisa dal resto del mondo da un vecchio ponte crollato. Il luogo si chiama INVIOLATA, ed è l’ultimo baluardo della regina delle sigarette, la Marchesa Alfonsina de Luna, che ogni estate per rivivere gli antichi splendori si reca nella tenuta dopo un rocambolesco attraversamento del fiume.
Dall’altra parte c’è la grande città di NN, l’altrove in cui il tempo è passato come un treno, in cui la lotta non è più quella di un gruppo di disperati contro la padrona (“la serpe avvelenata”) ma una lotta dei poveri contro i poveri. Una distesa di case dove chi può, simile a una bestiolina, costruisce una tana e si barrica dentro. Un luogo in cui gli ex contadini non ne vogliono sapere di raccogliere la cicoria che continua a nascere, preferiscono mangiare le chips e le merendine dell’ultima refurtiva. Dopo aver lavorato tanto, dopo essere stati così sfruttati, come dargli torto? In fondo il “maldicampagna”, il rifiuto della terra, è stato qualcosa di cui sono stati vittime, e che non hanno scelto; i responsabili sono altri.
BIO
Alice Rohrwacher
Nata nel 1981 a Fiesole, ha studiato a Torino e Lisbona. Si è occupata di musica e di documentari, lavorando principalmente come montatrice e musicista per il teatro.
Filmografia
LE MERAVIGLIE Italia 2014 (111’)
- “Grand Prix du Jury” Festival di Cannes 2014
- “Best film” Filmfest München 2014
- “Black Pearl Award” New Horizons Abu Dhabi Film festival 2014
- “Special Jury Award” Seville European film Festivalm 2014
- “Best Screenplay” Mar del Plata International Film Festival 2014
CORPO CELESTE Italia/Francia/Svizzera/Germania 2011 (98’)
- “Ingmar Bergman Int. Debut Award” 2012
- “Nastro d’Argento” migliore opera prima 2012
- “Ciak d’Oro” migliore opera prima 2012
- “Premio Suso Cecchi D’Amico” migliore sceneggiatura 2012
- LA FIUMARA episodio del documentario collettivo Che cosa manca Italia 2006 (7’)
Cast artistico
Lazzaro Adriano Tardiolo
Antonia adulta Alba Rohrwacher
Tancredi adulto Tommaso Ragno
Tancredi giovane Luca Chikovani
Antonia giovane Agnese Graziani
Ultimo Sergi Lopez
Nicola Natalino Balasso
e con la partecipazione di Nicoletta Braschi nel ruolo della Marchesa Alfonsina De Luna
Cast tecnico
un film scritto e diretto da Alice Rohrwacher
fotografia Hélène Louvart
montaggio Nelly Quettier
suono in presa diretta Christophe Giovannoni
montaggio del suono Marta Billingsley
scenografia Emita Frigato
costumi Loredana Buscemi
musiche originali Piero Crucitti
trucco Ronald Haldimann
acconciature Daniela Tartari
aiuto regia Nicola Scorza
acting coach Tatiana Lepore
casting director Chiara Polizzi
organizzatore Giorgio Gasparini
produttore associato Alessio Lazzareschi
Prodotto da Carlo Cresto-Dina
coprodotto da Michael Weber & Viola Fugen, Alexandra Henochsberg Grégory Gajos & Arthur Hallereau, Tiziana Soudani
una produzione tempesta / Carlo Cresto-Dina con Rai Cinema
in coproduzione con Pola Pandora Filmproduktion, Ad Vitam Production, Amka Films Productions
in coproduzione con RSI Radiotelevisione Svizzera, ARTE France Cinéma, ZDF
con la partecipazione di Arte France
con il supporto di Eurimages, Ufficio Federale della Cultura (DFI), Svizzera e Medienboard Berlin Brandenburg
con la partecipazione di Aide Aux Cinémas du Monde Centre National du Cinéma et de l’Image Animée
Opera realizzata con il sostegno della Regione Lazio Fondo Regionale per il cinema e l’audiovisivo
Film riconosciuto di interesse culturale con contributo economico del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo – Direzione Generale Cinema